Circa i tre quarti degli enti del Terzo Settore sono rimasti paralizzati dal lockdown oppure hanno frenato in maniera significativa la propria attività. Eppure nemmeno il confinamento delle persone ha spento l’appeal del volontariato, al punto che in tanti casi non si è fermato il reclutamento di nuovi volontari, nonostante “la scena” sia stata totalmente occupata dalla Protezione Civile nella gran parte dei casi scavalcando la rete del Terzo Settore. Non sono mancate realtà del “no profit” che hanno fatto proposte di affiancamento alla Protezione Civile che spesso però sono state trattate con una certa indifferenza.
E’ quanto risulta dalla fotografia del Terzo Settore scattata tramite un questionario elaborato dal Centro servizi per il volontariato, su input della Regione e con la collaborazione del Forum del Terzo Settore del Friuli.Venezia Giulia nei mesi della pandemia. Vi hanno risposto 358 realtà della regione, in un campione costituito in maniera quasi totale da associazioni di promozione sociale e organizzazioni di volontariato, ma anche con una significativa rappresentanza di imprese sociali. Importante la tempistica della rilevazione, dal momento che il 79% dei questionari è stato ritirato prima della fine del lockdown (il 17 maggio scorso) e quindi riflette appieno i sentimenti di incertezza, di paralisi del momento ma anche la profonda attenzione ai nuovi bisogni sociali che quell’evento ha mostrato (in primis l’isolamento di anziani e bambini in età scolare e l’emergere di fragilità economiche in tante famiglie).
Ecco come 358 realtà del Terzo Settore del Friuli-V.G. hanno reagito al lockdown: paralisi operativa, ma non nella progettualità
Il primo dato che emerge è che il Terzo Settore non è stato paralizzato dal lockdown. Solo il 2% delle realtà interpellate non è stata per nulla attiva nei giorni del confinamento. Un buon 36% ha continuato ad operare con un considerevole livello di attività. Di questi, il 9% ha continuato regolarmente la propria attività nonostante la situazione, addirittura un altro 9% ha avviato nuove attività in risposta all’emergenza, mentre la maggior parte, il 18%, ha riadattato la propria attività per renderla compatibile alle nuove regole.
Anche quando gli enti del Terzo settore sono dovuti rimanere inattivi, non sono restati con le mani in mano. Il 16% ne ha approfittato per riprogettarsi e programmare il riavvio alla fine del lockdown, mentre un altro 12% ne ha approfittato per effettuare un riordino a livello amministrativo e burocratico. Un altro 8% si è focalizzato sul mantenere vivi i contatti con i destinatari della propria attività sociale. Nelle risposte ottenute dopo il 17 maggio, si assiste ad un forte aumento della riprogettazione delle proprie attività alla luce delle nuove modalità e dei nuovi bisogni sociali percepiti durante l’emergenza.
Il lockdown ha di certo influito però sulla numerosità dei volontari coinvolti. Solo in pochi casi tutti i volontari (il 9%), quasi tutti (un altro 12%) o circa la metà (7%) hanno potuto partecipare, perlopiù (il 56% dei casi) solo alcuni sono rimasti coinvolti e nel 16% dei casi nessuno.
I nuovi bisogni sociali post Coronavirus
Tra le nuove problematiche percepite dal Terzo Settore nella società durante il lockdown, spicca l’isolamento e la mancanza di relazione, con un peso quasi doppio rispetto alle difficoltà economiche delle famiglie e alla precarietà del lavoro. Tra le aree critiche individuate quelle del disagio psicologico e delle attività educative da non interrompere, ma anche il garantire a tutti l’accesso ai servizi socio-sanitari e i problemi di convivenza e di relazione all’interno delle famiglie. Da questa percezione derivano le priorità per l’azione futura: l’isolamento delle famiglie con persone in stato di fragilità (anziani, disabili…), la povertà educativa dei minori, le famiglie con lieve disagio che sfuggono alla rete di aiuti ma che necessitano di un supporto.
La Protezione Civile “snobba” il volontariato
Gli enti che sono rimasti attivi, dove hanno trovato una sponda di collaborazione per superare le diffcoltà del momento o programmare interventi di risposta al Coronavirus? Ci si aspetterebbe con la Protezione Civile (che è stata centrale nell’emergenza), ma ciò è avvenuto solo nell’8% dei casi. Più di frequente (19%) la collaborazione è scattata con altri enti del Terzo Settore, con i Comuni (18%) e i servizi sociali (13%), e sanitari (9%), senza dimenticare la rete delle parrocchie (2%).
Nessuna deroga al lockdown
Tra i problemi segnalati, in primis (il 58% degli intervistati) quello di non riuscire a scavalcare o comunque a a far convivere la propria attività di volontariato con le regole del lockdown. L’assenza delle emergenze sociali tra le eccezioni ammesse alla mobilità sul territorio ha di fatto colpito al cuore l’operatività del volontariato. Ne fa da corollario la difficoltà a mantenere relazioni con i destinatari delle attività per un 21% degli intervistati e per un 19% anche con i propri associati. Si tratta di quei casi in cui è più difficile mantenere relazioni telematiche a distanza. Rilevanti, tra i problemi riscontrati, anche quelli economici (20%) nei casi in cui il confinamento ha inciso sulle entrate di enti e associazioni. Non indifferenti anche le difficoltà a reperire informazioni certe sulle regole da seguire per alcune specifiche attività (12,72%), ma anche quelle di acquistare dispositivi di protezione individuale come mascherine, camici e guanti (12,20%) e di trovare idee per trasformare la propria attività alla luce dell’emergenza (11,94%).
Il futuro? In pericolo la “mission” dei volontari
Quali le principali preoccupazioni per il futuro? Abbastanza radicali: non riuscire più a rispondere ai bisogni dei destinatari (20%), esaurire le risorse economiche (18%), non realizzare progetti in programma e in cantiere, importanti per il futuro dell’ente (17%), ma anche perdere volontari e soci a causa dell’inattività (11%), perdere l’entusiasmo dei soci e del direttivo (10%), non riuscire a stare dietro agli adempimenti burocratici e alle scadenze (9%).
Un nuovo volontariato post-lockdown
Qual è la principale richiesta d’aiuto? Significativamente non è di carattere materiale, ma motivazionale e organizzativa. Ben il 47,27% degli enti intervistati chiede un supporto per riuscire a riorganizzare e gestire le sue attività nella nuova situazione e per il 23,11% ad ideare e progettare nuove iniziative. Solo dopo, a grande distanza, per il 23,89%, c’è il sostegno economico, quello per affrontare gli aspetti giuridici e fiscali (21,29%) e il reperire informazioni certe su come poter operare pur rispettando le normative sull’emergenza (20,25%).